Nell’ultimo periodo sono stati portati all’attenzione del pubblico molti casi di contaminazione di cibi industriali con la carne di cavallo. Partito da un singolo caso, ogni giorno arrivano nuove segnalazioni inerenti alla presenza di questo tipo di carne in sempre più prodotti alimentari confezionati presenti sulle nostre tavole. Tralasciando qui il discorso sulla pratica di inserire una tipologia di carne in un prodotto senza scriverlo chiaramente, pratica già di per se contraria alle leggi sulla trasparenza, cerchiamo di capire da dove arriva il vero rischio della carne di cavallo per la nostra sicurezza alimentare.
La potenziale fonte di rischio presente nella carne di cavallo deriva dalla sostanza chiamata “Fenilbutazone“, cioè un medicinale analgesico utilizzato negli animali per la cura di problemi ossei e per il trattamento di forme di dolore cronico, come l’artrite. Questa sostanza è permessa e lecita solo nei cavalli non destinati alla filiera alimentare mentre, per la carne di cavallo che finisce sulle nostre tavole, questo tipo di farmaco è vietato.
Perché è stata vietate questa sostanza? È stata vietata poiché può risultare pericolosa per il midollo osseo e può essere responsabile della presentazione di patologie come l’anemia plastica. Non essendo stata ancora stabilito il livello massimo di residuo consentito nella carne, questa sostanza è stata, per la carne di cavallo, esclusa da quelle ammesse per la filiera alimentare.
Alla luce di questi recenti fatti di cronaca è quindi ritornata alla ribalta la questione dei rischi derivati dalla carne di cavallo per la salute dei consumatori. Secondo i dati dell’UE, comunque, l’esposizione degli europei al fenilbutazone dovrebbe essere molto bassa, grazie ai ripetuti controlli effettuati in passato.
Alla luce di questi fatti di cronaca, però, sia l’EME sia l’EFSA indagheranno con nuove ricerche sulla presenza sia di questa sostanza nella carne di cavallo sia della stessa carne di cavallo in vari prodotti alimentari.
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