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Non esiste alcuna norma che imponga che il POS debba essere firmato dal datore di lavoro per poter essere considerato “valido”. La normativa vigente richiede al datore di lavoro di redigere il POS.
Il POS è il documento che il datore di lavoro redige in riferimento al singolo cantiere interessato, ai sensi dell’art. 17 comma 1, lett. a) del D. Lgs. n° 81/2008.
Si tratta, quindi, di un DVR per lo specifico cantiere.
Questo obbligo non è delegabile.
Quindi se il POS, è stato imposto come obbligo indelegabile al datore di lavoro (in quanto DVR per lo specifico cantiere), è sempre e comunque a quest’ultimo riconducibile e ne è questi l’unico penalmente responsabile.
La questione della “data certa” o delle firme alternative, poi, non è volutamente richiesta anche per il POS anche perchè:
– l’impresa affidataria deve verificare la congruenza del POS e;
– il CSE ha l’obbligo di verificare la sua idoneità e
ciò permette di definire una data in cui il documento era stato redatto.
Se ci fosse in cantiere una sola impresa, il problema della data non si pone neanche essendoci sempre una data di comunicazione di inizio lavori.
Per il POS, quello che conta è il contenuto prevenzionale, la cui assenza o insufficienza, costituisce un reato imputabile esclusivamente al datore di lavoro.
Infatti, ogni errore del POS è sempre imputabile ad una condotta colposa, attiva o omissiva, del datore di lavoro sia che questi abbia firmato o no il documento.
Per completezza, ribadisco che il POS, non serve certo ad identificare chi sia il datore di lavoro dell’impresa, in quanto non è certo questo documento che lo identifica ma l’effettività della sua posizione nell’organizzazione dell’impresa.
Quindi, anche se il POS è stato redatto da altri soggetti (RSPP, consulenti esterni, ecc.), del contenuto risponderà sempre e comunque il datore di lavoro identificabile in base al citato criterio dell’effettività.
Ricordo, poi, che l’ente di vigilanza, deve procedere all’accertamento dell’identità dei soggetti in un’azienda, in base al criterio d’effettività, risultante da atti organizzativi interni, da comportamenti messi in atto, da eventuali procure o deleghe, ecc. e deve attribuire a questi i relativi obblighi e le conseguenti responsabilità al fine di individuare eventuali situazioni di reato.
Il datore di lavoro, quindi, non s’identifica con una firma su un documento ma in base ai criteri sopra citati e, al fine dell’individuazione delle sue responsabilità, l’atto di firma è assolutamente privo di significatività.
In conclusione, quindi, il POS potrà considerarsi “non valido” e quindi come se non fosse stato redatto, non certo perché non firmato dal datore di lavoro ma solo se il documento è incompleto e cioè non soddisfa, in termini di contenuti, quanto previsto dal p. 3.2 dell’allegato XV al D. Lgs. n° 81/2008.
Gli articoli di riferimento sono questi: per redazione: art.96 c1 g) – c2, art.96 c2, (Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti); per accettazione: art. 97 c2 (Obblighi del datore di lavoro dell’impresa affidataria); per verifica: impresa affidataria art.97 c3 b) – coordinatore art. 92 c1 b) – committente o RL art. 93 c2; per consultazione del RLS: art. 100, comma 4 (Piano di sicurezza e di coordinamento).
Gli articoli citati non parlano espressivamente di firma, ma sembrerebbe una naturale conseguenza. Ho avuto esperienze personali, dove gli ispettori hanno richiesto le firme, per gli articoli prima menzionati.
Chi svolge il ruolo di UPG sia presso una ASL, sia presso una DPL, sia presso un comando prov.le dei VVF, ecc., non mi risulta sia soggetto deputato a “interpretare” la legge ma solo ad applicarla, così come è stata scritta (bene o male che sia).
Ora, la legge non dice che il POS deve essere firmato dal datore di lavoro (in caso contrario aspetto di vedere citato l’articolo di legge che lo impone).
E non lo dice perchè non lo può dire visti i principi basilari di diritto penale che ho già citato in un mio precedente post.
E lo stesso discorso vale per il DVR.
Qui è la firma congiunta che viene richiesta ma non per identificare il DL ma solo ai fini della data certa.
Cosa fa il CSE? Cosa accade se non convalida il pos ?
Il CSE, e questo bisogna spiegarlo ai funzionari della DPL di Udine e dintorni, non “convalida” il POS.
Il CSE verifica l’idoneità che è tutt’altra cosa.
Il CSE deve verificare che il POS contenga tutti gli elementi indicati dall’allegato XV.
L’uso del verbo “verificare”, deriva dal fatto che il legislatore richiede al CSE solo la verifica dell’idoneità del POS, proprio perché l’obbligo di risultato in termini d’idoneità del POS, spetta solo al datore di lavoro dell’impresa esecutrice.
Quindi, non è certo corretto pensare che il legislatore abbia voluto individuare un profilo di responsabilità del CSE anche per i rischi propri dell’attività d’impresa, perché in caso contrario si rischierebbe di attivare l’automatica chiamata in causa del CSE per qualunque reato di “puro pericolo”, contravvenzionalmente sanzionato dall’ente di vigilanza, a carico dell’impresa esecutrice.
Nel caso, invece, relativo alla coerenza del POS con il PSC, l’uso del verbo “assicurare”, a differenza del primo, impone un obbligo di risultato al CSE e va inteso, quindi, come aspetto fondamentale delle attività funzionali di questa figura.
Il CSE, quindi, deve essere garante che il POS sia coerente con il PSC e cioè che l’impresa abbia recepito, coerentemente, le indicazioni contenute nel PSC.
Quindi, la richiesta dalla DPL, faceva riferimento non alla firma in sè ma ad avere evidenza che il CSE aveva verificato l’idoneità e assicurato la coerenza con il PSC.
Ovviamente, per fare questo, si possono usare altri strumenti, recuperabili anche sul web, e consistenti in semplici check list per la citata verifica.
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